IL SETIFICIO CAVADINI (la vecchia filanda)

Nell’800 a Urgnano, a testimonianza dell’inizio dell’industrializzazione, erano presenti due filande, una di proprietà degli Albani a partire dal 1873 e poi della ditta Pedroni, dei Cavadini e dei Longhi di Milano, e una nei pressi della trinità, dal 1888. Un terzo opificio si aggiungerà successivamente, il cotonificio Gelmini, Beltracchini, poi IRIS e ora MITI.

La bachicoltura e la successiva trasformazione e lavorazione rappresentava per gli agricoltori bergamaschi la più importante delle attività, costituendo quasi la metà dell’intero reddito prodotto dai terreni della provincia di Bergamo

Fino agli anni quaranta del Novecento l’allevamento dei bachi era un’attività praticata con continuità da moltissime famiglie di Urgnano, e i bozzoli raccolti venivano interamente conferiti alle filande, presenti praticamente in ogni comune.

Le protagoniste della vita della filanda erano le fanciulle e le donne del paese, che si dividevano i compiti in base all’esperienza e, di conseguenza, all’età.

Le lavoratrici, figure fondamentali dell’economia domestica, assumevano i ruoli di scoparine, filere e filatoiere, ruoli caratterizzati da diversi gradi di difficoltà, ma tutti e tre assolutamente fondamentali per un lavoro continuo e ben fatto.

Le scoparine erano le bambine inesperte alle quali era affidato il compito di immergere i bozzoli (detti galète) nell’acqua bollente e spazzolarli per trovare il filo iniziale da passare alle filere; queste dovevano inserire i numerosi fili di seta nelle filiere, ma il compito più arduo era quello delle filatoiere, che dovevano, in fretta e con mani esperte, riannodare i capi quando i fili si rompevano. A dispetto di quanto si possa pensare, il ruolo delle scoparine era importante e faticoso: i bozzoli non dovevano mai mancare nel catino, e l’acqua al suo interno, alimentata da un sistema di tubature, era perennemente bollente e arrivava a picchi di 70-80 gradi. La sera quando uscivano dalla filanda avevano le mani gonfie per via del vapore e del calore e se il risultato non era ritenuto soddisfacente venivano punite dagli assistenti con multe o addirittura la sospensione dal servizio, una situazione che poteva mettere in ginocchio famiglie intere.

Nel luglio 1927 le operaie della filanda di Urgnano, appena entrate in stabilimento, inscenarono una rumorosa dimostrazione contro i soprusi della ditta reclamando l’annullamento delle multe loro inflitte. Subito vennero informate le forze dell’ordine che, in poco tempo, riuscirono a domare la contestazione e far rientrare le operaie al lavoro, dopo averne arrestate alcune.

La situazione delle bambine e delle ragazze in filanda era generalmente peggiore di quella degli uomini impiegati nei campi, essendo costrette a lavorare molte ore al giorno in ambienti malsani, con i piedi e le mani immerse in acqua caldissima, ma la povertà della classe contadina non offriva altre scelte.

La bachicoltura e l’industria a essa legata cominciarono a perdere d’importanza a partire dalla Grande Guerra per vari motivi, tra cui la battaglia dei prezzi dei paesi orientali e l’utilizzo sempre più massiccio di nuove fibre sintetiche ma, nonostante quest’epoca sia ormai tramontata, nulla cancellerà dalla memoria l’enorme importanza sociale e storica delle filande, luoghi duri che hanno delineato interi paesi e sono divenuti simbolo di un mondo completamente perso. L’angolo di Urgnano nei suoi pressi è totalmente cambiato, e anche la filanda non c’è più. Anche l’ultimo residuo di questo importante simbolo di industrializzazione è stato demolito in omaggio all’incessante cambiamento.