Quella dei facchini è una storia che si svolge per gran parte fuori da Urgnano, in varie città d’Italia. È una storia lunga e caratteristica; mette radici anch’essa nel Medio Evo, probabilmente nel secolo XIII: ottenuto il privilegio di lavorare al carico e scarico delle navi e al trasporto delle merci, i facchini costituiscono una specie di corporazione, o associazione di mestiere.
Norme molto rigide regolano i loro rapporti: la privativa dell’incarico, la sua trasmissibilità per eredità, l’amministrazione e le tariffe, il controllo sui membri, perfino sul loro comportamento nel tempo libero. Il tutto sempre con ispirazione religiosa, con obblighi di messe e atti di culto, con spese anche ingenti destinate alla maggior gloria di Dio, al rafforzamento dei vincoli corporativi, al decoro del paese natale.
I divieti presupponevano anche multe, sospensioni o espulsioni vere e proprie in caso di mancata osservazione delle regole, come stabilito dallo Statuto della compagnia dei Camalli o Facchini di Urgnano, addetti ai servizi delle dogane, persone di grande prestigio, tra i maggiori contribuenti per la costruzione della chiesa e della torre campanaria Urgnanese.
Erano vietati il gioco, la rissa, la bestemmia e il furto, bisognava osservare le feste religiose e fare offerte alla Chiesa, oltre che aiutare i compagni malati e accollarsi la sepoltura dei colleghi deceduti.
Nel porto di Pisa e di Livorno i facchini provenivano in gran parte da Urgnano, ma ci sono testimonianze anche da altri luoghi d’Italia, ad esempio Genova, dove venivano privilegiati, comunque, i lavoratori provenienti dalla provincia di Bergamo; le mogli di questi lavoratori ritornavano a partorire al paese di origine, facendo si che il figlio, battezzato in terra bergamasca, potesse succedere al padre nel lavoro, un fattore cruciale in un periodo di così scarse possibilità economiche.
C’è una curiosità che probabilmente risale proprio all’importanza dei facchini di Urgnano in questo periodo e a come venivano visti dagli abitanti dei paesi limitrofi; infatti correva l’abitudine di chiamare gli abitanti del paese cicia canète (in italiano succhia cannucce).
Questo fatto curioso potrebbe essere riferibile all’abitudine di fumare la sigaretta con una cannuccia, un bocchino primitivo, da parte dei facchini quando, nel periodo di riposo, ritornavano in terra Urgnanese e si ritrovavano sotto i portici e nella piazza del paese. Per quei tempi si trattava di un privilegio per pochi, essendo considerato un piccolo simbolo di agiatezza economica, una consuetudine quotidiana. Col tempo, però, si vedevano sempre meno persone che fumavano realmente perché, con lo scarseggiare dello stipendio dovuto al periodo di ferma, si limitavano a succhiare solamente la cannuccia, nella speranza di ripartire quanto prima per i porti e le dogane, e rimpinguare così le entrate famigliari.